EPICA

COSA E' UN POEMA EPICO?

DIVINITA' GRECHE
DIVINITA' GRECHE
GUERRA  DI TROIA
GUERRA DI TROIA

Un poema epico è un componimento letterario che narra le gesta, storiche o leggendarie, di un eroe o di un popolo, mediante le quali si conservava e tramandava la memoria e l'identità di una civiltà o di una classe politica.Il termine "epica" deriva dal greco antico  (epos) che significa "parola", ed in senso più ampio "racconto", "narrazione".L'epica narra in versi il  (mito), cioè il racconto di un passato glorioso di guerre, e di avventure. L'epica è la prima forma dinarrativa.              

COME VENIVA TRASMESSA?

Essa, inizialmente, veniva trasmessa oralmente dagli AEDI  con un accompagnamento musicale, successivamente i poemi venivano messi per scritto dai RAPSODI .

LA STRUTTURA: IL PROEMIO LO  SVOLGIMENTO E LA CATARSI

Il poema è generalmente caratterizzato da due "momenti" ricorrenti: la mimetica, che riporta in prosa diretta i dialoghi dei personaggi e la diegetica, ossia la narrazione in terza persona.Il fulcro dell'epica è costituito dalle gesta dell'eroe che è sempre il personaggio più forte, brillante o astuto (Achille per la forza, Odisseo per l'astuzia, Ettore per la devozione alla patria.I segni distintivi del poema epico, oltre ovviamente all'argomento trattato, riguardano anche lo stile e certi motivi ricorrenti.Il poema epico si apre sempre con una protasi, in cui dopo l'invocazione alla Musa viene brevemente presentato l'argomento del poema.Un poema epico è scritto in versi.Frequenti sono i patronimici, attributi che qualificano la discendenza spesso divina dell'eroe, importanti anche perché conferiscono musicalità ai versi e ne facilitano la memorizzazione, dando vita a vere e proprie formule.Le similitudini,cioè i paragoni tra due elementi ( l' eroe forte come un leone).Gli epiteti,cioè espressioni (nomi,aggettivi...).

L' ODISSEA

Ulisse o Odisseo è un personaggio della mitologia greca. Originario di Itaca detta la terra del sole, è uno degli eroi achei descritti e narrati da Omero nell'Iliade e nell'Odissea, l'operaletteraria che lo ha come protagonista e che da lui prende il nome.

 

IL VIAGGIO DI ULISSE

LE TAPPE:

Le tappe del ritorno sono dodici, numero degli insiemi perfetti. Si alternano tappe in cui l'insidia è manifesta (mostruosità, aggressione, morte) a tappe in cui l'insidia è solo latente: un'ospitalità che nasconde un pericolo, un divieto da non infrangere. Ulisse continua a non riuscire a tornare a Itaca perché il dio Poseidone, adirato con lui, gli scatena contro venti furiosi e continui naufragi e pericolosi approdi in altre terre.

          I CICLONI

Dopo la partenza da Troia, Ulisse fa tappa a Ismaro, nella terra dei Ciconi, e li attacca per fare bottino. Qui risparmia Marone, sacerdote di Apollo, che gli dona del vino forte e dolcissimo che gli tornerà utile nella grotta di Polifemo. 

         I LOTOFAGI

  La seconda tappa nella terra dei Lotofagi, cioè mangiatori di loto. Essi sono ospitali ma insidiosi: offrono infatti ai compagni di Ulisse(Odisseo) il loto, un frutto che fa dimenticare il ritorno, costringendo l'eroe a legarli e a trascinarli a forza sulle navi.

IL  CICLOPE POLIFEMO

Ulisse,   insieme ai suoi compagni, approda su un'isola abitata dalle ninfe. Ulisse vuole andare a chiedere ospitalità in un'isola vicina e porta con sé una nave e alcuni suoi compagni. Giungono nella grotta di Polifemo, che nel frattempo è uscito a pascolare le pecore, e la trovano con i graticci pieni di formaggi enormi e il latte appena munto. I compagni pregano Ulisse di prendere i formaggi, rimettersi in mare e scappare, ma l'eroe vuole ricevere i doni dell'ospitalità. Polifemo ritorna: è orrendo, un gigante con un solo occhio in mezzo alla fronte. Quando li vede sta preparando la sua cena, e allora prende due compagni di Odisseo e li divora. Poi si mette a dormire, così Ulisse medita come scappare da quella disavventura.Inizialmente pensa di estrarre la spada e così ucciderlo, ma poi riflette che in quel modo sarebbero morti anche loro, perché nessuno poteva smuovere il grande macigno che il ciclope aveva posto davanti alla porta. Poi vede un ramo d'ulivo, gigantesco, ancora verde, che a lui pareva l'albero di una nave da venti remi, e che Polifemo aveva conservato per farne un bastone. Ordina ai compagni di tagliarne un pezzo e intanto lui lo appuntisce. La sera dopo l'eroe offre al ciclope il vino che gli aveva donato Marone. Polifemo, contento del vino offerto, chiede poi a Ulisse il suo nome. L'eroe acheo risponde che il suo nome è "Nessuno". Il ciclope si addormenta, ubriaco a causa del potente vino bevuto, e Ulisse e i compagni colgono l'occasione: prendono il ramo,fanno diventare incandescente la punta dell'ulivo e accecano l'unico occhio del ciclope. Gli altri due fratelli di Polifemo accorrono ma ritornano indietro quando il ciclope dice: "Nessuno, amici, mi uccide con l'inganno e non con la forza". La mattina dopo Polifemo fa uscire a pascolare le sue pecore, ma per evitare che qualcuno fugga, stende le mani in modo da tastare il vello delle pecore. Allora l'eroe e i suoi compagni si legano sotto dei montoni, riuscendo così a sfuggire.

                 EOLO

Giunge quindi nell'isola di Eolo, dio dei venti, da cui viene ospitalmente accolto per un mese, ricevendo in dono l'otre dei venti, accompagnato da un divieto da non infrangere: nessuno dovrà aprire l'otre. Saranno i compagni però che, invidiosi del dono dell'ospite, ormai in prossimità di Itaca, approfittando del sonno di Odisseo, apriranno l'otre scatenando i venti che risospingeranno la nave al largo.

      I LESTRIGONI

 La quinta tappa presso i Lestrigoni, giganti mostruosi quasi quanto i Ciclopi. Anche qui Odisseo perde alcuni compagni e i giganti bersagliano la sua flotta abbattendo undici navi. Solo quella dell'eroe si salva.

      CIRCE E L'ADE

Giunge poi nell'isola di Circe, una maga seducente che trasforma i compagni di Odisseo in porci. Grazie all'aiuto di Ermes, che gli dà una misteriosa erba quale antidoto alla maledizione della maga, l'eroe riesce ad evitare l'insidia e costringe Circe a restituire ai compagni sembianze umane. Dopo essersi fermato un anno da Circe, Odisseo - su indicazione della stessa maga - si accinge a una nuova prova, la catabasi nel regno dei morti. Lì riesce a entrare in contatto con le figure dei compagni perduti durante la guerra di Troia, con la madre e con l'indovino Tiresia, che gli presagirà un ritorno luttuoso e difficile, invitandolo a guardarsi dal toccare le vacche del Sole iperionide. 

         LE SIRENE

Rimessosi in rotta, Ulisse se la vede con le pericolose sirene; allora tappa le orecchie ai compagni e si fa legare all'albero della nave per ascoltarle. Superato lo scoglio delle sirene Ulisse si sta dirigendo verso lo Stretto di Messina. 

SCILLA, CARIDDI E      L'ISOLA DI ELIO

Ulisse tenta di superare i mostri Scilla e Cariddi. Scilla mangia sei compagni di Ulisse. A impresa compiuta, Odisseo non riesce a frenare la voglia dei compagni di banchettare con le invitanti mucche di Elio (altre versioni dicono di Era oApollo). Per questo Odisseo racconta di essere stato per nove giorni in balia di terribili tempeste scatenate da Zeus, con la nave e i compagni uccisi da Scilla. 

          CALIPSO

Scampato alla tempesta riuscì a salvarsi grazie all'arrivo sull'isola di Ogigia, dove incontra Calipso. Essa è una ninfa molto bella e immortale che andando a stendere i panni con le sue ancelle trova Ulisse naufrago nudo e sporco. Quindi lo accoglie e si innamora di lui e visto che tra poco deve celebrare le nozze spera di sposarsi con l'uomo dal multiforme ingegno. Dopo sette anni di "prigionia" lontano da casa, Ermes viene ad avvisare la ninfa di lasciare Ulisse, il quale costruita una barca parte per Itaca, ma ad un passo dalla terra natia, Poseidone lo ferma. 

              I FEACI

Odisseo un giorno sbarcò nell'isola dei Feaci, dove incontrò Nausicaa, la figlia di re Alcìnoo e le chiese dei vestiti e dov'era la reggia del re. Andò alla reggia e chiese aiuto al re di dargli una nave per ritornare a casa. Lui accettò e gli organizzò anche un banchetto nel quale lui rivelò il proprio nome. Il giorno dopo si imbarcò, salutando tutti.

    RITORNO A ITACA

Quando arrivò a Itaca con l'aiuto di Atena si fece ospitare da Eumeo, come mendicante. Dopo essersi rivelato al figlio e al fedele Eumeo si recò alla reggia facendosi accogliere appunto come un mendicante. Qui, schernito ripetutamente dai tracotanti Proci, partecipa alla gara di arco organizzata da Penelope, che aveva promesso di consegnarsi in sposa a colui che sarebbe riuscito a scoccare una freccia dal pesante arco del marito facendola passare per le fessure di dodici scuri allineate. Nessuno dei pretendenti riuscì anche solo a tendere l'arco, e così Odisseo chiese di poter fare un tentativo. Sotto gli occhi torvi dei Proci, dopo aver scaldato l'arma sulla fiamma, Odisseo riesce perfettamente nell'impresa di tendere l'arco e scoccare. A questo punto, spalleggiato da Atena, non gli rimane che scatenare la vendetta che aveva attentamente preparato con Eumeo, Filezioe il figlio, togliendo tutte le armi ai Proci per poi ucciderli. Euriclea andò a chiamare Penelope per dirle che Odisseo non era morto; quando lei lo vide non disse niente, non si convinceva che fosse suo marito, fino a quando lui disse qualcosa che poteva sapere solo lei e lei lo riconobbe, lo strinse forte piangendo. Anche Telemaco fu felice per i suoi genitori. 

ORLANDO "IL 

PALADINO"

LA CHANSON DE ROLAND (LA MORTE DI ORLANDO)

Le vicende hanno inizio con la descrizione della situazione generale del conflitto in Spagna, a cui segue un'ambasciata pagana pronta ad offrire la pace a Carlo Magno. Si riunisce il consiglio cristiano e si scontrano due linee: da una parte abbiamo Gano di Maganza, futuro traditore, rappresentante di una nobiltà fondiaria che non ha bisogno di espandere i propri domini e che anzi preferirebbe il mantenimento della pace; dall'altra una nuova classe sociale in ascesa che ha nella virtù militare la propria principale espressione e che invece vuole fortemente che il conflitto vada avanti, rappresentata dall'eroe per eccellenza, il prode Orlando. Contrariamente a quanto si potrebbe immaginare, tuttavia, Gano non è presentato come un vile traditore, e la sua opposizione a Orlando non è uno scontro tra due mondi inconciliabili che vedono la ragione e il torto separati da una linea netta; c'è piuttosto il riconoscimento di una nobiltà già dalla presentazione che indica quanto pur nel conflitto destinato inevitabilmente a risolversi a favore dei Franchi ci siano molte sfumature.Infatti, una delle chiavi della difesa di Gano nel processo finale sarà proprio sostenere che il suo tradimento non è stato contro l'esercito franco, ma contro il figliastro Orlando reo di averlo nominato a capo dell'ambasciata inviata a Marsilio. A questa nomina di Gano segue il tradimento e la garanzia del traditore di nominare Orlando a capo della retroguardia francese.In un primo momento, Orlando si rifiuta di credere che Gano abbia tramato con il nemico; accetta di essere a capo della retroguardia con il consueto orgoglio militare, nonostante Carlo, in uno dei presagi che costellano l'intero poema, abbia un funesto presentimento. I dodici pari vengono nominati nella retroguardia, dunque, mentre l'esercito franco inizia la ritirata. Ben presto però la retroguardia si rende conto del tradimento di Gano; all'arrivo dell'esercito pagano si assiste ad una splendida discussione tra Oliviero, detto il "saggio", e Orlando, rappresentazioni di due dimensioni ideali dell'eroe che vedevano già in epoca classica una polarizzazione (da una parte l'eroe saggio, Ulisse, dall'altra il valoroso combattente, Achille) poi divenuta topica. Oliviero consiglia al compagno di suonare l'olifante (il suo corno) il cui suono richiamerebbe il resto dell'esercito. Il prode paladino rifiuta perché richiamare rinforzi sarebbe causa di eterno disonore. Discussione che sarà riproposta dopo il combattimento e la morte dei dodici pari, quando resteranno in vita il vescovo Turpino, Orlando e Oliviero: a parti invertite, Oliviero sosterrà l'inutilità di suonare il corno quando gli eroi sono prossimi alla morte, Orlando invece suonerà definitivamente per consentire la vittoria ai Franchi. Proprio mentre le truppe guidate al rientro da Carlo Magno contemplano il paesaggio nella gioia del ritorno, il suono del corno risuona tre volte sulle rocce di Roncisvalle; viene scoperto il tradimento di Gano, che viene catturato in attesa del processo. Nel frattempo la retroguardia francese ridotta a soli tre uomini viene sopraffatta. Orlando colpito a morte tenta di spezzare la sua spada Durendala. Non riuscendoci si accascia sul terreno con le braccia incrociate in attesa della morte. Proprio alla morte di Orlando, descritta in parallelo evangelico a quella di Cristo sulla croce. Il paladino cristiano pone la sua spada sotto di lui, impugna l'olifante e dona il suo guanto a Dio, immagine del vassallaggio fedele che percorre tutto l'arco del poema. Gli angeli scendono su di lui per portarlo nel regno dei cieli. Proprio nello stesso istante arriva Carlo; l'imperatore sbaraglia gli avversari che si danno alla fuga o annegano nel fiumeEbro. Il re torna ad Aquisgrana dove ha fretta di processare Gano per tradimento, ma nel frattempo entra in scena l'emiro Baligante, il più potente re saraceno, che per la prima volta a metà del poema fa la sua apparizione, trasformando l'imminente e definitivo conflitto con Carlo nella concreta realizzazione della prima opposizione Orlando vs Marsilio. Il più numeroso esercito pagano si scontra con le forze cristiane in una lotta selvaggia, sulla cui fine aleggia però un destino voluto da forze sovraumane mai messo in discussione (motivo che arriverà fino alla Gerusalemme liberata del Tasso). Alla fine del conflitto resta solamente da processare il traditore Gano, che si difende dall'accusa con l'appoggio dei suoi nobili parenti. Alla difesa teorica corrisponde anche secondo la prassi dell'epoca un eventuale duello: per smentire l'altra parte in causa e dimostrarne il torno. Paladino difensore di Gano è il potente Pinabel, che nessuno in un primo momento osa sfidare proprio per la sua abilità indiscussa. Quando Carlo sembra ormai costretto a notificare il volere della comunità e a rilasciare Gano, lo scudiero Teodorico prende le parti dell'accusa e sfida Pinabello nel duello finale che conclude il poema, come era del resto il costume epico (si pensi ad Enea e Turno alla fine dell'Eneide o, in séguito, allo scontro tra Rodomonte e Ruggiero nell'Orlando furioso). Carlo, in seguito all'apparizione in sogno dell'Arcangelo Gabriele parte per dare aiuto al re Viviano in Infa dove hanno posto l'assedio i Saraceni. «Qui finisce la storia che Turoldo mette in poesia», e così si conclude la Chanson de Roland, con una nuova apertura che sottolinea il tragico destino di chi è garante del potere. Le frequenti lacrime di Carlo, "che non può fare a meno di piangere", sottolineano (ancora una volta secondo un topos che ha la sua stabilizzazione nella pietas di Enea e che ad esempio sarà ripreso nel viaggio dantesco) la fragilità dell'imperatore e il dramma di essere al centro di un compito gravoso; l'eroe, in questo caso l'imperatore, non è il guerriero senza macchia che non conosce cedimenti, ma il rappresentante di un complesso sistema di valori che genera un conflitto tragico: da una parte avremo il dovere di assolvere un compito, una vera missione, dall'altra la sofferenza tutta umana che quell'obbligo comporta.

LA LEGGENDA DI RE ARTU'

LA SPADA NELLA ROCCIA

E' difficile districarsi tra le numerose avventure che coinvolgono i cavalieri della Tavola Rotonda perché sono state ampliate e modificate da molti autori che hanno innestato sulle primitive vicende episodi e personaggi nuovi.
Al centro dei romanzi sta la figura di re Artù.
Misteri e prodigi accompagnano la sua vita fin dalla nascita. Dopo un'infanzia passata nella casa di Antor che crede suo padre, scopre di essere in realtà figlio del sovrano di Britannia Uter Pèndragon quando, unico tra duecentocinquanta cavalieri estrae, per volere divino, una magica spada conficcata nella roccia.
Consacrato solennemente re, lotta con i baroni per consolidare il regno ed estende il suo dominio sui territori del nord, sulla Scozia e sul Galles.
Riunisce intorno alla Tavola Rotonda i più valenti e coraggiosi cavalieri per instaurare un regno di giustizia e di pace. Ogni cavaliere della Tavola Rotonda deve giurare di difendere Cristo contro i pagani, combattere i prepotenti, prendere parte solo a missioni nobili, non uccidere senza motivo, non tradire, non battersi mai per cause ingiuste o per trarre profitto personale, mantenersi puro di cuore e di spirito, amare fedelmente una sola donna per tutta la vita.
Scopo principale dei cavalieri è la ricerca del Santo Graal, il calice in cui, secondo la tradizione, Gesù bevve durante l'ultima cena e in cui fu raccolto da Giuseppe d'Arimatea il sangue sgorgato dal suo costato durante la crocifissione. Quando Merlino, mago e consigliere di Artù, annuncia che la sacra reliquia si trova in un luogo segreto della Bretagna, tutti i cavalieri, tranne il re, partono alla ricerca della preziosa coppa il cui ritrovamento sarà fonte di bene per il regno e restituirà quella purezza di intenti che si è andata perdendo tra gli agi.
La ricerca dura parecchi anni e si frammenta in una serie di avventure.
Riescono ad avvicinarsi al Santo Graal solo tre cavalieri: Perceval, Galahad e Bohor.
Il più duro dei tre, Galahad, figlio di Lancillotto, potrà contemplare il segreto contenuto nel santo calice.
Artù, perso l'amico Lancillotto (che abbandona la Tavola Rotonda perché colpevole di aver amato Ginevra, la moglie del suo sovrano), la stessa Ginevra (che si chiude in convento), Merlino (caduto vittima di un incantesimo), assiste alla fine del suo regno funestato da lutti e rovine.
Il Cavaliere Nero, Mordred, figlio di Artù e della fata Morgana, reclama il potere e le terre del padre e scatena una guerra nella quale periscono a uno a uno tutti i cavalieri della Tavola Rotonda.
Lo stesso Cavaliere Nero muore per mano del padre ma a sua volta lo ferisce mortalmente.
Una nave nera come la notte trasporta Artù morente verso la terra di Avalon dove, in uno stato di morte che non è morte, il grande re attende il momento tra gli uomini.

QUESTA LEGGENDA LA ANCHE RAPPRESENTATA LA DISNEY IN UNO DEI TANTI CARTONI ANIMATI CHE HA PRODOTTO:

   

CLEMENTINA PERONE PLESSO (SUCCURSALE)

LARGO SAN PIO V (DONATO BRAMANTE)

Creato con Webnode Cookies
Crea il tuo sito web gratis! Questo sito è stato creato con Webnode. Crea il tuo sito gratuito oggi stesso! Inizia
Utilizziamo i cookie per consentire il corretto funzionamento e la sicurezza del nostro sito web e per offrirti la migliore esperienza utente possibile.

Impostazioni avanzate

Qui puoi personalizzare le preferenze sui cookie. Abilita o disabilita le seguenti categorie e salva la tua selezione.